Seguidores

quinta-feira, 14 de fevereiro de 2013

Lêdo Ivo em Italiano


FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 29
gennaio/marzo 2013
Velocità

UN VENTO FRESCO DEL MARE
In memoria di Lêdo Ivo



Lêdo Ivo nel suo studio
(foto di Claudio Maccherani)

O vento do mar [Il vento del mare] è l’ultimo libro di Lêdo Ivo pubblicato in Brasile, libro che l’autore mi ha gentilmente mandato, come i precedenti, e che non avevo ancora finito di leggere quando ho ricevuto la notizia della sua scomparsa il 23 dicembre 2012 a Siviglia, in Spagna, dove si era recato per uno dei molti incontri di poesia che lo vedevano impegnato, nonostante l’età avanzata, in diversi paesi. Riprendo in mano con tristezza il bel volume, dalla copertina blu come il mare della sua terra natale, e mi pare quasi di sentire fisicamente, condensate nelle sue parole sempre chiare e incisive, la presenza e la vivacità dell’amico, con il suo umorismo intelligente, la battuta pronta, la memoria formidabile, la sensibilità e la semplicità che caratterizzavano l’uomo e lo scrittore.
Vento do mar è un bellissimo libro, in una edizione pregiata e corredata da fotografie che lo ritraggono, insieme alla moglie Lêda e ai tanti amici, intellettuali e artisti, in giro per il mondo. Si tratta di un sunto denso e ricco del suo lungo percorso letterario e si presenta a mezza strada fra il libro di memorie e la biografia illustrata di un’intera generazione di scrittori brasiliani. È commovente l’onestà e la lucidità con la quale Lêdo ripercorre le fasi della sua vita e di quella del suo paese, il Brasile, tracciando il ritratto intimo di molti grandi personaggi, come Graciliano Ramos, Cornélio Pena, Agrippino Greco, Raquel de Queiroz, José Lins do Rego, Clarice Lispector, Manuel Bandeira. Leggendone le pagine, ci appare ancora più chiaro il senso della sua ricerca poetica ed esistenziale, la sua fame di verità, la sua discesa nelle profondità dell’io per svelarne anche le parte in ombra, la sua ricerca di giustizia, il suo amore per gli animali, il suo legame viscerale con il Nordest povero dei pazzi nei manicomi, dei morti di famiglia che non smettono di soffrire, delle navi abbandonate nel porto che non possono più sfidare gli oceani.
Nato nel 1924 a Maceiò, nella regione del Nordest brasiliano, Lêdo ha avuto la sua prima formazione letteraria a Recife ed è approdato a Rio de Janeiro nel 1943, con in valigia il sogno di diventare un grande scrittore. Così egli racconta uno dei primi incontri avuti nella Libreria José Olympiom, allora punto di ritrovo dell’intellettualità nazionale, con un poeta anziano, ormai deluso dalla letteratura (del quale omette, però, l’identità), che gli vaticina: «Non ci riuscirai, mio caro». Il ragazzo esce demoralizzato e, mentre vaga per le strade incendiate dal tramonto di una delle più belle città del Brasile, riflette su quelle parole amare e ruvide e sulle sue speranze, tramite la poesia, di dare senso alla propria vita:
De repente, vi-me caminhando pelas ruas, e o crepúsculo crescia sobre as pessoas e as fachadas das casas. Não era a glória, o aplauso, a fanfarra o que eu queria, dizia o meu coração ferido, numa réplica tardia (...). Era a afirmação de minha singularidade: desejava converter numa realidade estética um dom nativo ainda inexpressado e incomunicável. E contudo a voz experiente e desiludida viera alvejar-me com a sua descrença. Se a vida não confirmasse a minha escolha e não promulgasse a minha vocação, de que adiantaria viver?1
Improvvisamente, mi sono trovato a camminare per le strade e il crepuscolo cresceva sulle persone e le facciate delle case. Non era la gloria, l’applauso, le fanfare quello che io volevo, diceva il mio cuore ferito, in una replica tardiva. (…) Era l’affermazione della mia singolarità: desideravo trasformare in una realtà estetica un dono innato ancora inespresso e incomunicabile. Eppure la voce esperta e delusa era venuta a trafiggermi con la sua sfiducia. Se la vita non avesse confermato la mia scelta e non avesse promulgato la mia vocazione, a che sarebbe servito vivere?
Possiamo dire che la sua vita non solo è valsa pienamente la pena ma che ci ha arricchito con una delle più alte e intense opere letterarie di lingua portoghese.


Lêdo Ivo
(foto di Claudio Maccherani)


Lêdo Ivo esordisce nel 1944, con il libro As imaginações (Le immaginazioni), al quale seguirono altre ventidue raccolte poetiche. Oltre alla poesia, si è dedicato alla prosa e il suo primo romanzo, As alianças (Le alleanze), del 1947, conquistò subito importanti premi nazionali. Ha pubblicato altri quattro romanzi, raccolte di racconti, libri per l’infanzia, volumi di saggistica. Ha ricevuto numerosi e importanti premi e le sue opere di poesia e prosa sono tradotte e pubblicate in vari paesi, fra i quali Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Perù, Spagna, Olanda, Venezuela e Italia. Indicato per il Nobel, è stato membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere dal 1986 e nel 1990 è stato eletto Intellettuale dell’anno in Brasile.
Di intelligenza vivace e poliedrica, è stato uno spirito inquieto e nomade. La sua passione per i viaggi sarà stata ereditata dagli ancestrali caetés, indios antropofagi del Brasile coloniale, quasi completamente estinti, il che lo portava a dire, fra l’ironico e il divertito, di essere l’ultimo antropofago del Brasile, per discendenza diretta, mentre Oswald de Andrade e gli altri modernisti, che avevano ideato un importante movimento culturale e letterario detto Movimento dell’Antropofagia, nel 1928, lo erano solo di carta o, meglio, solo per finta.
Di Lêdo Ivo bisogna dire subito che è un poeta controcorrente, in tutti i sensi. Originario di una terra più conosciuta per le belle spiagge, per il sole perenne, per il paesaggio esotico e tropicale, il suo universo è popolato da esseri e animali marginali e apparentemente sprovvisti di attrattiva e carisma. La poesia di Lêdo Ivo è pervasa da influssi della sua terra, soprattutto la sua Maceió, città portuale, capitale dello Stato di Alagoas, dove ha vissuto per molti anni e dove sembra ogni volta ritornare, alla ricerca delle immagini che lo hanno segnato. La luce intensa del Nordest delinea con nitore i contorni di esseri e cose, nel loro dolore e nella loro fragilità: navi dismesse nel porto, cimiteri marini, cani randagi, mendicanti, pazzi del manicomio cittadino, gabbiani, granchi, formiche, molluschi, angeli scrostati delle piccole chiese di periferia. È questo l’universo che pare interessarlo e non i luoghi alla moda invasi dai turisti. Non si cerchi dunque l’esotismo nella sua opera, essa piuttosto è uno specchio in cui ci possiamo riflettere e vedere le nostre stesse paure per il presente e per un futuro incerto e difficile. Lêdo Ivo è locale e universale, intimo e quotidiano ma allo stesso tempo la sua è una poesia senza tempo, che coglie l’essere in quel che ha di più intimo, fragile e duraturo.
Inquadrato dai critici come un tipico rappresentante della Generazione del ’45, non veniva preso dovutamente in considerazione dalle nuove generazioni, perché considerato un poeta legato ad un movimento formale e tradizionalista.2 Eppure la poesia di Lêdo Ivo è di una ricchezza di forme e contenuti che non ha uguale nel panorama nazionale brasiliano. Poeta torrenziale, che spesso dà la sensazione al lettore di scrivere come in trance, sempre toccato dalla grazia, mentre è vero che cura, con attenzione certosina di fino conoscitore della lirica di lingua portoghese, ogni verso della sua vasta opera. Intellettuale colto, leggeva nell’originale poeti italiani, inglesi, spagnoli, francesi e americani. Io stessa alimentavo la fame che aveva di poesia italiana, portandogli personalmente o mandandogli per posta libri di Ungaretti (che aveva conosciuto e frequentato), di Giorgio Caproni, Sandro Penna, Alda Merini e tanti altri che, nel tempo, lui mi ha sollecitato.
Alla moglie Lêda, compagna di una vita, scomparsa nel 2004, ha dedicato uno dei suoi più bei libri, Requiem, poesia elegiaca e stranamente limpida e luminosa che sembra quasi un suo addio ai luoghi e agli esseri che più ha amato:
      Aqui estou, à espera do silêncio.
      (...)
      Agora a noite desce para sempre.
      Meu olhar fatigado segue a canoa
      que se afasta dos manguezais.
      Uma luz na restinga. Um caranguejo na lama.
      E a vida se evapora como as almas
      no céu que não abriga nenhum deus.
      (...)
      A eternidade passa como o vento.
      Só o tempo é eterno. Sempre estive aqui
      no meio do meu povo dizimado,
      e minhas mãos armaram além das dunas
      a dourada fogueira antropofágica
      do assombroso festim. Uma noite de cinzas
      sucede agora ao clamor e à alegria.
      O mar apaga todos os naufrágios
      e todo fogo se extingue, todo fogo dourado
      se alastra e se apaga no silêncio do mundo.
      Sto qui, in attesa del silenzio.
      (…)
      Ora la notte scende per sempre.
      Il mio sguardo affaticato segue la canoa
      che si allontana dalle mangrovie.
      Una luce nei banchi di sabbia. Un granchio nel fango.
      E la vita evapora come le anime
      nel cielo che non ospita alcun dio.
      (…)
      L’eternità passa come il vento.
      Solo il tempo è eterno. Sono sempre stato qui
      in mezzo al mio popolo decimato,
      e le mie mani hanno armato oltre le dune
      il dorato falò antropofagico
      del prodigioso banchetto. Una notte di ceneri
      succede ora al clamore e alla gioia.
      Il mare cancella tutti i naufragi
      e ogni fuoco si estingue, ogni fuoco dorato
      si propaga e si spegne nel silenzio del mondo.3
L’edizione italiana di Requiem (Besa Editrice, Nardò, 2008), da me curata, è uscita nel 2008, in contemporanea a quella brasiliana e a quella messicana. Ricordo ancora l’emozione che ho provato nel leggerlo, dattiloscritto con la sua vecchia macchina da scrivere. In Italia, oltre a Requiem, è stata pubblicata l’antologia Illuminazioni (Multimedia Edizioni, Salerno, 2001), sempre da me tradotta e curata. Le due lunghe poesie che seguono sono tratte da Requiem.


Lêdo Ivo con Vera Lúcia de Oliveira
(foto di Claudio Maccherani)



1Lêdo Ivo, O vento do mar, org. por M. C. Figueiredo Mendes, Rio de Janeiro, Academia Brasileira de Letras e Contra Capa, 2011, p. 7.
2La Generazione del ’45 proponeva una sorta di neo-parnassianismo che, seppure anacronistico, era una risposta ai grandi sconvolgimenti della seconda guerra mondiale. I poeti sentivano il bisogno, infatti, per contrapporsi all’irrazionalismo in cui era caduto l’umanità, di riordinare razionalmente il mondo, trovando nelle forme metriche classiche, come il sonetto, grandemente utilizzato in quegli anni, il linguaggio più affine a quell’intento.
3Lêdo Ivo, Requiem, trad. e cura di V. L. de Oliveira, Besa Editrice e Dipartimento di lingue e Letterature Straniere, Università del Salento, 2008, pp. 22-25.



Um comentário: